I motivi lineari che attraversano questa statuetta si riferiscono ai dipinti tradizionali dell'etnia, ispirati ai tatuaggi dei vicini pigmei Asua e che si sono evoluti a seconda delle circostanze. Tra i Mangbetu fin dalla tenera età, anche i bambini delle classi superiori subirono la compressione della scatola cranica, tenuta stretta da lacci di rafia. Successivamente i capelli sono stati "lavorati a maglia" su ciocche di vimini e un cerchietto cingeva la fronte in modo da far risaltare i capelli e costituire questo maestoso copricapo accentuando l'allungamento del cranio. Gli antichi chiamano beli le figure antropomorfe che incarnano gli antenati, nascoste alla vista e paragonabili a quelle appartenenti alla loro società segreta nebeli. Patina arancione-marrone, crepe e perdite. Il regno di Mangebetu nel nord del Congo ha prodotto opere architettoniche che hanno impressionato i visitatori europei nel XIX secolo. I loro mobili, armi, ornamenti e statue erano intrisi di una rara qualità estetica. L'etnologo G.A. Schweinfurth nel 1870 ne descrisse la simmetria e la raffinatezza, mentre allo stesso tempo testimoniava degli omicidi rituali e dei sacrifici umani praticati dal "popolo dalle teste allungate".
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